3.6.4 Politiche sociosanitarie

3.6.4.1 La dimensione strategica

Per riprendere l’assunto iniziale e non fare voli pindarici, che cosa vuol dire fare la propria parte in sanità, nel sociosanitario, rispetto all’uscita dalla crisi? Vuol dire consolidare un percorso – già iniziato – di efficientamento e lotta agli sprechi. Senza tagli lineari per finanziare altre politiche, e con i risparmi, reinvestiti all’interno dello stesso SSN. È una linea condivisibile e che viene da lontano, sostenuta principalmente dalla Conferenza delle Regioni (costanti i pronunciamenti al riguardo, vedasi www.regioni.it) e sostanzialmente anche dal Parlamento.

Particolarmente efficace è a tal proposito la sintesi del documento conclusivo dell’indagine delle Commissioni Bilancio e Affari sociali del Senato sul Servizio Sociosanitario del nostro Paese.

“Rafforzare il ruolo dello Stato centrale per garantire un’erogazione dei LEA omogenea su tutto il territorio nazionale, lasciando alle Regioni esclusivamente un ruolo di enti erogatori. Superare l’attuale visione ospedalocentrica in favore di un rafforzamento della rete territoriale che ci faccia trovare pronti alla sfida della cronicità, liberando i nosocomi di quel carico accessorio che, spesso in modo inappropriato, ne impegna le strutture in un’attività a prevalente vocazione ambulatoriale. Istituire meccanismi che premino le Regioni e le Aziende virtuose. Puntare forte sui fondi integrativi e polizze assicurative, con più defiscalizzazione. Al posto dei ticket, adottare un nuovo sistema con la fissazione di una franchigia, calcolata in percentuale al reddito.

Nel testo si segnala poi come l’assenza dei Liveas (Livelli essenziali di assistenza socio-assistenziale) rappresenti una mancanza importante ai fini di una completa integrazione socio-sanitaria delle prestazioni nei territori e per una più puntuale definizione e ripartizione dei costi tra sanità e sociale. In questo quadro si colloca anche il tema del finanziamento della non autosufficienza che, attualmente, in mancanza di un quadro normativo dedicato, risulta frammentato su diversi livelli di Governo.

Viene inoltre indicato come l’efficienza del sistema sanitario potrebbe essere altresì incrementata anche attraverso maggiori investimenti in prevenzione primaria e in politiche, anche non strettamente sanitarie, in grado di diffondere corretti stili di vita”1.

Per superare le difficoltà presenti, dovrebbero essere perciò affrontati risolutivamente i temi emergenti di seguito elencati che dal punto di vista normativo sono da tempo in agenda:

      • attuazione (con copertura finanziaria) dei rinnovati – 2016 – LEA;
      • appropriatezza di interventi e prestazioni;
      • applicazione dei costi standard;
      • diffusione sistemica del digitale;
      • ulteriore razionalizzazione e trasparenza su acquisti e appalti;
      • elaborazione di standard organizzativi;
      • efficace sistema di controlli (anche in itinere);
      • definizione di ruoli e profili professionali certi;
      • albi nazionali – regionali per le nomine dei manager;
      • forte valorizzazione della social innovation, dell’apporto del cittadino/utente, dell’associazionismo, del terzo settore.

Sono tutti temi già in fase avanzata di elaborazione/discussione. Vanno solo ricondotti a coerenza e unità, meglio se tramite un nuovo Patto per la Salute.

Questi (e altri) temi vanno ovviamente ricondotti alle specifiche politiche della Regione Veneto, e poi articolati a livello locale.

Per questo è utile un approfondimento sulla recente legislazione della Regione Veneto che ha riorganizzato le ULSS ed istituito l’Azienda Zero.

3.6.4.2 Assetto normativo del Veneto con la LR 19/2016

I caratteri distintivi del Servizio sanitario veneto fino all’anno scorso erano:

  • La presenza di Aziende Ulss relativamente piccole (22 in totale con differenze significative di popolazione di riferimento) ma che includevano sia i servizi territoriali che ospedalieri (le uniche Aziende Ospedaliere in Veneto sono i policlinici universitari di Padova e Verona). Questa scelta era finalizzata a favorire l’integrazione ospedale-territorio.
  • Il mantenimento nelle Aziende anche delle funzioni integrate del sociale con molte deleghe obbligatorie e facoltative dei Comuni, tanto che in Veneto si continua a denominarle ULSS (Unità Locali Socio Sanitarie). In Veneto pertanto la direzione strategica si compone di un Direttore Generale, un Direttore Sanitario, un Direttore Amministrativo ed un Direttore dei Servizi Sociali che da ultimo ha assunto la denominazione di Direttore dei servizi socio-sanitari
  • La presenza di un’organizzazione territoriale molto articolata con distretti “forti” e la Conferenza dei Sindaci con un ruolo di programmazione e verifica sostanziale.
  • La riduzione progressiva del numero di ospedali e soprattutto del numero di posti letto per pazienti acuti, fino a giungere nel 2016 ai fatidici 3 posti letto per acuti per 1000 abitanti con un tasso di ricovero vicino al 140 per 1.000 abitanti.

Questo modello è stato rivisto con la LR 19/2016, che istituisce l’Azienda Zero e gli accorpamenti delle ULSS.

L’Azienda Zero viene definita come “l’Azienda per la razionalizzazione, l’integrazione e l’efficientamento dei servizi sanitari, socio-sanitari, e tecnico-amministrativi del SSR veneto”. Ente con personalità giuridica di diritto pubblico ha la finalità di contribuire allo sviluppo del SSR. Ha diverse funzioni che vanno dalla responsabilità del fondo della Gestione Sanitaria Accentrata, alla Gestione degli acquisti centralizzati, alla selezione del personale del comparto e a molte altre funzioni che sono sottratte alle aziende territoriali ed ospedaliere. Importante è anche la costituzione del Comitato dei Direttori Generali. Tale comitato dovrebbe aiutare a porre l’Azienda Zero non “al di sopra”, ma “al servizio” delle ULSS e AOU.

Riguardo l’Azienda Zero restano delle perplessità sul fatto che possa essere effettivamente costituita a costo zero per la Regione come indicato dalla legge. Essa avrà sede a Padova, città indicata per la sua centralità in Veneto. Punto cruciale sarà quello di verificare se l’Azienda Zero riuscirà a rispondere ai bisogni delle ULSS (di personale, di acquisti, ecc.) in tempi adeguati. Tuttavia solo i fatti potranno dare ragione o meno a tale scelta.

In linea con quanto accaduto in molte Regioni italiane in Veneto il numero di ULSS è stato ridotto, in questo caso da 22 a 9. Le ragioni della riduzione delle ULSS riportate nei documenti ufficiali partono tutte dal presupposto (teorico) che l’aggregazione migliori l’efficienza.

Le 9 ULSS del Veneto sono estremamente eterogenee per popolazione, territorio e numero di ospedali: si va da ULSS con 200.000 abitanti sino ad ULSS di 1 milione circa di abitanti. Va inoltre ricordato che le ULSS provinciali di Padova e Verona hanno come ulteriore peculiarità quella di avere all’interno dei loro territori le due Aziende Ospedaliere Universitarie.

Si è di fronte dunque a livelli di articolazione e complessità gestionali molto differenti i cui risultati, sia in termini di equilibri economici che di qualità dei servizi sanitari garantiti alla popolazione servita, dovranno essere attentamente confrontati e valutati. (Cosa peraltro prevista dall’articolo 16 della Legge).

Merita una menzione particolare la cosiddetta integrazione socio-sanitaria essendo una peculiarità del SSR del Veneto. La riforma (sebbene nella prima bozza se ne prevedesse un forte indebolimento e con la discussione d’aula sia stata poi ripristinata), ribadisce la fondamentale importanza dei compiti anche sociali delle Aziende che mantengono per questo la denominazione di Unità Locali Socio Sanitarie.

Sui benefici delle aggregazioni delle ULSS, il problema rimane aperto e viene discusso ampiamente anche in altre Regioni dove le aggregazioni sono addirittura sovra-provinciali.

Per quanto riguarda il Veneto: se da un lato vi era certamente la necessità di eliminare alcune ULSS con meno di 100.000 abitanti, dall’altro si potrebbe ragionare su quale può essere il livello aggregativo ottimale e, una volta stabilito, applicarlo uniformemente. In questo momento, fatte salvo le due Province di Belluno e Rovigo caratterizzate da densità di popolazione relativamente scarsa (200.000 abitanti circa), tutte le altre Province venete sono sovrapponibili per territorio e popolazione (900.000 abitanti circa). A parte Belluno e Rovigo però riscontriamo tre ULSS provinciali (Treviso, Padova e Verona) e due ULSS per ciascuna delle altre due Province (Venezia e Vicenza). Appare chiaro che non si è scelto un unico modello di riferimento.

Una menzione positiva meritano le parti della legge che ribadiscono l’importanza fondamentale del modello socio-sanitario, confermando le linee del piano socio sanitario vigente.

In questa fase di applicazione della LR19 la giunta regionale con le delibere n. 1861 del 25 novembre 2016 e n. 2174 del 23 dicembre 2016 ha sostanzialmente bloccato per tutto l’anno 2017 nuove autorizzazioni e accreditamenti delle strutture intermedie (ospedali di comunità e unità riabilitative territoriali) e di tutte le altre strutture socio-sanitarie, rendendo in sostanza inattuabile una parte significativa del piano socio-sanitario vigente.

A questo si può aggiungere il fatto che solo recentemente sono state deliberate le linee guida dell’atto aziendale e della concreta istituzione dell’Azienda Zero che sono adesso all’esame della V commissione consiliare.

3.6.4.3  Alcune linee di sviluppo del sistema socio-sanitario

Come sarà caratterizzato il domani del sistema socio sanitario? Sicuramente da un consolidamento delle tendenze e politiche richiamate prima, ma con una attenzione anche a nuovi fenomeni sociali. Qualche esempio/suggestione.

Uno è lo sviluppo ormai tumultuoso della web society, della e-health. La possibilità per l’utente di avere miriadi di informazioni tramite internet (ormai c’è una banca dati mondiale, consultabile in tempo reale…) può essere un’opportunità, o può essere considerata un problema. Un’opportunità per la rapidità e facilità di accesso alle informazioni necessarie a una maggiore comprensione del proprio stato di salute. Un problema perché può indurre a superficialità, disorientamento, ansia, e mettere in discussione il ruolo e la fiducia nel (proprio) medico o struttura.

Un altro è il modo di fare assistenza, che è cambiato, almeno al centro-nord (e quindi in Veneto). Ad esempio, l’assistenza e il monitoraggio a distanza, a domicilio, soprattutto per le malattie croniche, sono ormai largamente praticati (telesoccorso e telecontrollo), e il teleconsulto, i congressi telematici, la formazione sono sempre più on line.

Un’altra novità, ulteriore esempio di “social innovation”, è la capacità di autorganizzazione dei cittadini. Sempre più l’utente/paziente non è più solo con la sua malattia o il suo disagio. Ci sono attivissime e organizzate associazioni che aiutano nella prevenzione/cura/riabilitazione del malato/utente (dagli alcolisti anonimi ai diabetici, dai trapiantati ai celiaci, ormai se ne contano molte decine). Sono delle comunità assistenziali, che – al pari del singolo – interagiscono con il medico, con i professionisti , con le istituzioni e che non vanno lasciate sole.

Esempi se ne potrebbero fare moltissimi, ma quello che importa è constatare che oggi – e ancor più domani – il cittadino/utente (la famiglia, la comunità) dovrebbe essere – è – una persona con problemi da affrontare (e possibilmente risolvere), e non (solo) una malattia da curare. Almeno finché c’è un S.S.N. che rimanga tale e si qualifichi sempre di più e non come sistema privatistico-assicurativo.


1  Quotidiano Sanità, 2016