PROFESSIONI DELL’INNOVAZIONE
INTRODUZIONE AL TEMA
Quanti sono i lavoratori nella città metropolitana impegnati nelle professioni dell’innovazione? Quali le politiche da adottare per favorirne la crescita? Queste le domande alle quali cerchiamo di rispondere perché la letteratura scientifica mondiale è concorde nell’individuare il fattore chiave di crescita e competizione nella capacità di innovarsi del sistema produttivo. Inoltre i lavoratori e i professionisti impegnati nel generare innovazione sono capaci di originare un forte indotto in termini occupazionali (1 a 5, Moretti, 2013).
Ma se è ormai ampiamente conclamato che la competitività di un sistema territoriale e urbano, sia dal punto di vista economico–produttivo che sociale si misura sulla presenza e, soprattutto, sull’attrattività di attività ad alto valore aggiunto, di competenze/talenti e di capitali di investimento, è spesso mancante l’attenzione alle dinamiche specifiche con cui si formano le innovazioni in termini di lavoro professionale (le nuove competenze) e il peso primario della qualità della vita culturale e ambientale che lo qualificano. Parliamo quindi di politiche in grado di mettere a valore il capitale cognitivo delle singole persone, di gruppi di persone, della cultura connaturata ad un dato territorio creando un ecosistema votato all’innovazione.
La velocità dell’innovazione nell’economia globale è tale che queste politiche superano di gran lunga quello che una volta si definiva come pensiero strategico; ormai si vede come le strategie sono lente e invecchiano in fretta. L’economia e in buona misura anche le società globali funzionano per reti che non si ancorano alle città e ai territori in forza di decreti, ma solo per l’esistenza di precisi soggetti di produzione, trasformazione e consumo (turismo). Contrariamente a quelle letture della globalizzazione come mera deterritorializzazione, si sta verificando un processo di polarizzazione dei lavoratori che si collocano in queste aree professionali: “I caratteri dell’economia della cultura e della conoscenza incoraggiano un elevato grado di concentrazione di produttori e lavoratori in particolari zone della città, non solo come un modo per ridurre i costi, in termini di spostamenti, relativi alle loro continue costanti interazioni, ma anche come uno strumento per permettere loro di sfruttare i rendimenti crescenti derivanti dalla riduzione del rischio proporzionale all’aumento di opportunità di scelta” (Scott 2011, pag. 39). Quindi un’idea di città metropolitana che deriva da quattro fattori: dalla presenza di soggetti sociali come i sistemi globali di impresa industriale della “produzione intelligente” (Berta 2014), dalla varietà delle reti che si generano, alimentano e connettono in detto spazio (Taylor 2012), dall’evoluzione di sistemi economici e sociali post-industriali basati sulla conoscenza e la cultura e dall’organizzazione dei servizi alle persone e alle imprese.
Esiste un’ampia letteratura che tratta delle istituzioni universitarie ed economiche che si occupano di ricerca industriale e di tecnologie (centri per l’innovazione ecc…) e delle politiche (europee, nazionali, regionali, a volte persino locali) per l’innovazione, ma è singolare che non si sia studiato e quindi sia poco conosciuto il multiverso dei lavoratori che operano in questo ambito.