3.3.3 Oltre la tripla elica: innovazione sociale e “terza missione”

Il metro classico utilizzato per misurare l’impatto di un’università in un dato territorio è la Tripla elica (THM) ovvero le interazioni tra attori istituzionali – università – impresa, “elica” affermatasi dalla seconda metà degli anni Novanta (Etzkowitz, Leydesdorff, 1996) e fatta propria dall’Unione Europea nella strategia di Lisbona. Una metodologia tutt’altro che superata, ma non esaustiva. Un modello che postula un forte ruolo allo Stato anche nelle sue articolazioni e quindi assegna un carattere determinante all’attore pubblico. In questo modello troviamo tutta l’importanza dell’economia della conoscenza che responsabilizza le istituzioni di formazione e ricerca, una considerazione da tenere sempre a mente in un territorio come il nostro dove uno dei grandi problemi è da sempre quello del trasferimento di conoscenze dalle università alle imprese. Non è un caso che continuino a susseguirsi tentativi per oliare questo meccanismo. Gli ultimi arrivati in ordine di tempo sono i Competence Center previsti dal pacchetto di misure denominato Industria 4.0 varato nell’ultima finanziaria a cavallo della caduta del Governo Renzi. I Competence Center sono pensati per essere luoghi di incontro e trasferimento delle conoscenze tra università e impresa sul modello, a detta dello stesso Ministro, del Fraunhofer1. Uno dei sette Competence Center previsti a livello nazionale avrà sede proprio a Venezia, in particolare a Porto Marghera negli stabili afferenti al VeGa.

In questo capitolo affronteremo principalmente il tema dell’Università come attore sociale. Le università, oltre a soddisfare la domanda di formazione superiore e trasferire la ricerca prodotta al mondo delle aziende, possono infatti svolgere un servizio per il territorio e la comunità alimentando e sviluppando nuovo capitale sociale così da diventare attori fondamentali per rilanciare, riconvertire e ripopolare le aree urbane in crisi oltre che generare città creative (Richard Florida2) e dal mercato di lavoro florido (Enrico Moretti3). Le università, con la loro partecipazione attiva, diverrebbero quindi “attori” in prima persona attraverso le reti sociali alle quali si possano agganciare e alimentare tanto da generare innovazione sociale. Un nuovo parametro quindi da affiancare alla tripla elica, del resto il rapporto città-università ha subìto nel tempo profonde trasformazioni e questa non sarà certo l’ultima. Non a caso all’ordine del giorno di molte università vi è la cosiddetta “terza missione”, ovvero quel portato che è strettamente correlato alla capacità di scambio sociale e culturale tra università e città. Vorremmo, in questa sede, cercare di interpretare questa possibilità attraverso il capitale sociale, accezione specifica che riprende temi già approfonditi in passato dalla Fondazione Pellicani. Già con il progetto MapIn4 si erano approfondite caratteristiche e definizioni di questo capitale. Qui riprendiamo unicamente la definizione che ne aveva dato Pierre Bourdieu:“Il capitale sociale è l’insieme delle risorse attuali o potenziali che sono legate al possesso di una rete durevole di relazioni più o meno istituzionalizzate d’inter-conoscenza e d’inter-riconoscimento o, in altri termini, all’appartenenza a un gruppo, inteso come insieme di agenti che non sono soltanto dotati di proprietà comuni (suscettibili di essere percepite dall’osservatore, dagli altri o da loro stessi) ma sono anche uniti da legami permanenti e utili….Il volume di capitale sociale posseduto da un particolare agente dipende dunque dall’ampiezza della rete di legami che egli può efficacemente mobilitare e dal volume di capitale (economico, culturale, simbolico) detenuto da ciascuno di coloro cui egli è legato…”5.

Questo orientamento emerge in diverse esperienze internazionali che hanno già trovato un’etichetta in academic social responsability. Azioni con le quali gli studenti e i docenti si interrogano – e soprattutto intervengono – sulle grandi questioni sociali in maniera non estemporanea tanto che queste azioni possono alimentare anche le “economie” afferenti all’innovazione sociale. Di fatto, aggiungere ai criteri di valutazione del rapporto città-università il tema dell’innovazione sociale non è senz’altro scontato né facile. L’innovazione sociale è altro dall’innovazione tout court che nasce dalla competizione di mercato e dalla ricerca di un maggiore profitto. All’origine di questi processi di innovazione esistono pressioni sociali esercitate dall’esistenza di bisogni specifici, ma anche di tematiche ambientali (smog e uso indiscriminato del suolo, solo per individuare alcune emergenze del nostro territorio). Sono tutte tematiche nelle quali lo Stato e il mercato fanno fatica a intervenire e perciò nascono comunità di cittadini e micro imprenditorialità sociale che spesso per mancanza di alcune competenze e visione strategica fanno fatica a darsi un futuro. Per riuscire in queste pratiche innovative, le esperienze e le conoscenze presentate nei nostri atenei potrebbero risultare determinanti a segnare il confine tra pratiche di successo e sonori insuccessi. Come tutte le pratiche innovative ci si muove su passi tutt’altro che codificati, spesso caratterizzati da un’orizzontalità estrema che si deve anche sposare con una pluralità di soggetti da coinvolgere e che sfuggono ad ogni forma di verticalità organizzativa e di controllo. Siamo davanti a modelli non solo poco chiari ma anche in continua evoluzione perché a stretto contatto con la comunità di riferimento, progetti trasversali, frutto di contaminazioni, pratiche che si collocano al confine tra non-profit, il pubblico, il privato, la società civile. Se l’innovazione sociale, come appare oramai evidente, ha una fortissima dimensione collettiva l’università per sue caratteristiche intrinseche (parte dell’Amministrazione pubblica, luogo di formazione, centro di ricerca e sviluppo) può giocare un ruolo fondamentale come “fattore d’azione”.

Se quindi altri ambiti del rapporto città-università sono oggetto di riflessione e azione, ci si riferisce alla tripla elica, rimane questo importante vuoto da colmare che richiede uno sforzo di riconoscimento e soprattutto di studio e azione che a Venezia, e non solo, non è ancora giunto a maturazione. Cercheremo di indicare alcune linee guida nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. Come e quale sia lo spazio di scambio che può essere vitale per entrambe a Venezia è ancora tutto da definire nonostante siano attivi alcuni processi anche se, per ora, sporadici. Ad esempio dall’Università Ca’ Foscari sono stati realizzati diversi studi e pratiche afferenti a temi dell’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, o ancora laboratori di alta imprenditorialità finalizzati allo sviluppo di un territorio specifico così da renderlo maggiormente accessibile e inclusivo. Grande attenzione è stata data all’uso corretto del suolo nell’ottica di rilanciare il settore agricolo attraverso prodotti fortemente caratteristici del paesaggio. Lo IUAV ha organizzato e organizza diversi laboratori strettamente connessi al territorio e ai multiformi spazi del welfare. Anche il Senato degli studenti dello IUAV è spesso intervenuto in questi ambiti riuscendo a finanziare micro interventi pensati dagli stessi studenti per alcuni quartieri della città segnati da problematiche sociali molti forti attraverso l’autocostruzione partecipata o attraverso operazioni più puntuali di riqualificazione temporanea di luoghi abbandonati al degrado.

Purtroppo queste pratiche e queste riflessioni mancano di continuità e di un coordinamento generale che possa in qualche modo dare sistematicità e strategicità alle diverse idee. A tal riguardo, strumenti di coordinamento molto leggeri come dei tavoli di confronto tra Università, Enti intermedi e amministrazione locale per evitare sovrapposizioni e potenziare sinergie potrebbero in una prima fase aiutare già molto anche in virtù del fatto che su questi temi l’Unione Europea cofinanzia importanti progetti. L’idea di fare rete costituisce la soluzione per andar oltre l’effimero così da crearsi anche in questo ambito uno “spazio di soglia” nel quale agire.


1 E’ l’istituzione tedesca che raccoglie i gli istituti dedicati alla ricerca applicata. Il bilancio annuale è di circa 2 miliardi di euro (https://www.fraunhofer.de/en.html).

2 Richard Florida, Cities and the creative class, New York, Londra, 2005.

3 Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro, Milano, 2013.

4 Davide Conte, Mapin. Il ruolo delle associazioni a Mestre e Venezia, Venezia, 2010.

5 Pierre Bourdieu, “Le capital social. Notes provisoires”, in Actes de la recherche en Sciences Sociales, 1980.