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Natura e spazio costruito: la visione integrata

DARE CITTADINANZA ALLA NATURA: UN’AZIONE COMPLESSA. DAI PARCHI AGRICOLI ALLA URBAN WILDERNESS

Rafforzare il sistema naturale esistente ci aiuta a ridisegnare i limiti ed orientare le energie per costruire concretamente la futura Città Metropolitana. Risulta importante, quindi, “lavorare sull’equilibrio delle tre principali sfere del territorio: la sfera urbana, quella rurale e quella naturale. Sfera rurale non intesa semplicemente come agricola, ma come ambito che permette di osservare tutte quelle forme di antropizzazione che incidono sulla natura sia in senso produttivo, legandosi ai temi dell’infrastruttura, sia della mobilità che dei servizi” (cfr. Stefano Boeri).

La costruzione di parchi agricoli permette di incentivare nuove forme di economia nel settore eco turistico e riabilitare porzioni di paesaggi attraverso modalità di coltivazione adatte a mediare lo spazio abitativo da quello agricolo con interventi di natura pubblica o privata di interesse collettivo. “Perchè dobbiamo incoraggiare un ritorno nei centri urbani quando, per esempio, tutto ciò che riguarda l’agricoltura dei prossimi anni ci spingerebbe invece a valorizzare il modello della città diffusa? Una sorta di idea di parco agricolo abitato può risolvere bene alcuni problemi legati alle produzioni agricole che andrebbero oggi ripensate come necessarie; alcune forme di diffusione sono coerenti all’idea di un territorio che venga utilizzato in tutta la sua estensione” (cfr. Paola Viganò).

La sfera naturale della città metropolitana si compone inoltre non solo di spazi verdi gestiti e controllati (parchi, corridoi ecologici, ecc…), ma anche di tutti quegli spazi residuali, di paesaggi o ambienti che sono lasciati, per diversi motivi e anche transitoriamente, alla libera espansione delle specie animali e delle piante. “Il concetto di urban wilderness può contribuire a definire uno scenario di naturalità che vede, nella colonizzazione spontanea della vegetazione e nell’imboschimento di porzioni di territorio, non solo di ex aree agricole ma anche di ex aree industriali o urbane, nuove possibilità di fruizione quasi naturalistiche e il recupero di servizi ecosistemici importanti. Dovrebbe cioè imporsi un approccio alla pianificazione ecologica urbana che recepisca questi spazi non come occupazioni transitorie, tra una destinazione d’uso e la successiva, ma come occasioni di valorizzare le potenzialità dell’ecosistema urbano di perpetuare un seppur fragile e dinamico equilibrio” (cfr. Tommaso Sitzia).

UN “GREEN LANDMARK” PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI VENEZIA: IL PARCO METROPOLITANO

“Lo spazio pubblico della Città Metropolitana di Venezia deve essere inteso non solo nella dimensione urbana ma specialmente nella scala territoriale, in quanto le opportunità ambientali del territorio devono creare proficue sinergie” (cfr. Paola Viganò). Tutelare le aree non antropizzate attraverso i corridoi ecologici e faunistici è l’occasione per riscrivere le modalità di fruizione della città. Attraverso interventi leggeri e sensibili alla cura del paesaggio è possibile disegnare il nuovo parco territoriale.

I cosiddetti paesaggi marginali, quali cave, corsi d’acqua minori, zone umide, zone portuali, diventano occasione per avviare sperimentazioni significative a livello internazionale per rilanciare una fruizione più ampia del territorio.
Anche i “paesaggi alimentari” sono un’interessante opportunità per sfruttare la grande porosità delle frange urbane e innescare fenomeni virtuosi di socialità intorno allo scambio e al mercato di prodotti a km 0.

Connettere questi sistemi con una maglia di percorsi ciclopedonali al fine di rafforzare il carattere sistemico di queste trasformazioni nei diversi paesaggi.
La città diffusa sta esprimendo la necessità di nuovo spazio pubblico alla scala territoriale. Già in parte questi interventi si stanno realizzando: basti pensare che quando si inaugura una pista ciclabile lungo un fiume questa attiva un ricco e vivace flusso di persone; è sufficiente la trasformazione di una cava dismessa in un bacino o un piccolo lago perchè questa diventi immediatamente un luogo che la gente va a visitare, attraversa e così via. Sicuramente questo rapporto con la scala territoriale oggi è diverso rispetto al passato perchè esiste una nuova idea dello star bene nello spazio verde o nello spazio cosiddetto naturale” (cfr. Paola Viganò).

Se d’altronde immaginiamo la scala territoriale in ottica più responsabile “sarà necessario riconoscere il ruolo che ha la montagna nel salvaguardare e nel permettere che l’ambiente si mantenga, e cioè farla polmone verde della dimensione metropolitana” (cfr. Francesco Finotto) sia dal punto di vista ambientale (nel mitigare gli impatti ambientali della pianura) che da quello del tempo libero.

UN COMPITO POSSIBILE: DARE FORMA ALLA CITTÀ POLICENTRICA

La Città Metropolitana di Venezia non è un perimetro vuoto tra poli e non si costituisce solo delle tre città capoluogo di provincia. I piccoli centri della città diffusa offrono la possibilità di implementare il senso della città metropoli alimentando nuova produzione culturale e offrendo servizi a più basso costo. È importante alimentare l’humus creativo e identificativo di certe porzioni del territorio perché all’interno di un contesto metropolitano assumono ruoli rilevanti che favoriscono la nascita di nuove opportunità ed occasioni sociali ed economiche.

Sarà necessario intervenire sulle modalità di costruzione della città diffusa piuttosto che sulla possibilità di una fruizione, anche residenziale, più ampia del territorio. Questa è stata costruita con logiche urbane forti che hanno dimostrato di non essere in grado di conciliarsi con le caratteristiche lente e deboli del paesaggio rurale e rururbano. “Bisogna ripensare tutto e cioè anche al modo in cui si è urbanizzato negli ultimi quarant’anni, che era quello di un modello di città compatta importato nella città diffusa. Quello della città diffusa è un sistema che provoca alti costi di urbanizzazione e costi finali insediativi importanti e forse non ce lo possiamo più permettere e quindi bisogna immaginare modelli insediativi molto più light, meno strutturati e con capacità di implementazione nel corso del tempo” (cfr. Francesco Finotto).

Sarà quindi necessario ripensare il modello classico di urbanizzazione attraverso sperimentazioni e progetti pilota che indaghino un modello più leggero a minor impatto ambientale, anche dal punto di vista paesaggistico, con trasformazioni reversibili e che minimizzino i costi di costruzione. Sviluppare un modello abitativo minimale a basso costo per giovani che “poi magari tra dieci anni si può ampliare e far crescere, come il modello della casa singola dei nostri genitori, per cui non compri il prodotto finito ma compri una cosa in evoluzione” (cfr. Francesco Finotto).

IL PIANO-CITTÀ

La Città Metropolitana di Venezia, all’interno delle sue logiche e spinte legate alla semplificazione della gestione del territorio, deve essere in grado di assumersi la responsabilità di un “ministero per la città” che definisca le priorità per la crescita e lo sviluppo sociale ed economico di ogni sua parte.

“Il Piano Città era nato come tentativo di riportare l’attenzione sul tema delle città in Italia, unico Paese dell’Unione in cui non c’è un ministero per le città. Il piano è stato un semplice strumento di distribuzione di fondi ad alcuni comuni selezionati. Alla fine, anche per le complicate dinamiche regionali, il risultato è stato una mera distribuzione di pochi soldi per finire delle opere senza nessuna relazione con l’idea di un Piano. La definizione di un “Piano Città” dovrebbe favorire interventi con caratteristiche che portino ad un aumento della coesione sociale, al risparmio energetico, alla riqualificazione di aree ben definite e quindi ad un complessivo miglioramento dell’habitat” (cfr. Leopoldo Fryerie).

Possibili leve di attuazione

  • Intercettare incentivi e agevolazioni di sostegno al paesaggio agrario e naturale a livello regionale quali PSR (Programma di Sviluppo Rurale);

  • sviluppare
 attività 
di green
economy coerenti con
 le 
finalità di elevata tutela ambientale, nelle parti dove sono presenti insediamenti e attività economiche;

  • definire un “Piano Città” che punti sul rinnovo dell’esistente per non consumare ulteriore suolo coinvolgendo i sindaci e la Regione;

  • attivare un abaco delle tecnologie edilizie e linee guida al fine di garantire gli standard minimi per la definizione di un nuovo modello di edificazione;

  • disporre un parco di aree nelle quali dislocare alloggi temporanei nel tempo della riconversione – specie nel caso di azioni di demolizione e ricostruzione;

  • abbassare il più possibile gli oneri di urbanizzazione quando si costruisce all’interno di aree già urbanizzate e alzare gli stessi sempre di più quando ci si avvicina alle aree agricole o naturali;

  • definire degli hub, o nodi metropolitani, intesi come risultato dell’interazione delle risorse dell’area, che permettano lo sviluppo di nuove realtà economiche e sociali.


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